OMOFOBIA: IL LATO TRISTE DEL NOSTRO PAESE

Ci ritroviamo un pomeriggio di settembre, fuori dalle nostre case l’estate lascia spazio alle prime piogge, alle prime folate di vento che annunciano l’ingresso di un autunno freddo che sarà incorniciato da allagamenti, frane e disastri in quasi tutta Italia. E allora, in assenza di qualcosa di meglio da fare, accendiamo la tv o sfogliamo un giornale lasciato su di un tavolo o magari, collegati su internet, si apre davanti a noi una finestra di news. Una di quelle che appena appaiono subito ci sbrighiamo a chiudere, ma appena il nostro sguardo mette a fuoco è questione di un attimo e riflessi nei nostri occhi si legge un titolo: “ATTACCHI AGLI OMOSESSUALI, PAURA A ROMA”.
E magari quella finestra non verrà chiusa, il canale della tv non verrà cambiato e le nostre dita non sfoglieranno un’altra pagina. Leggiamo, i nostri occhi divorano quelle parole scritte e veniamo a conoscenza dell’ennesimo fenomeno di insofferenza che pervade il nostro Paese. Insofferenza per chiunque non sia come noi, non vesta o non parli seguendo l’onda dell’omologazione oppure non ami come invece “sappiamo” fare noi. Infatti le vittime stavolta sono loro, coloro che “non amano come amiamo noi”: gli omosessuali. Il termine omosessuale è stato coniato per la prima volta nel 1869 da un letterato ungherese, fondendo il termine greco omoios (simile ) con il termine sexus (sesso), proponendo così l’uso di un vocabolo che sostituisse il cinquecentesco “vitio nefando” o l’antico sodomia. Era il 1869 e ancora oggi, nel 2009, per molti questa parola è un tabù o un motivo valido per esercitare violenza contro chi rientra in questa definizione. Ed è proprio questo che ci dimostrano i fatti avvenuti nell’ultimo periodo: una coppia gay esce dal Gay Village di Roma e viene aggredita. Uno dei due viene accoltellato all’addome e sottoposto a un delicato intervento chirurgico. Gli aggressori, identificati, vengono in un primo momento rilasciati, poi arrestati; a Napoli, un professore di ritorno da lavoro attende la metropolitana, gli si avvicinano tre “teste rasate”. Lo insultano, gli puntano un coltello sotto i genitali minacciando di ucciderlo. Dopo aver riso del terrore disegnatosi sul viso di quell’uomo, vanno via, allontanandosi tra la gente; e ancora Roma: locali  gay incendiati alle prime ore dell’alba. Una transgeder seguita da un auto che la investe e fugge via, ha subito un intervento alla testa. E forti si fanno le richieste da parte dell’ associazione Arcigay: si chiedono più diritti, più protezione e severe punizioni per chiunque eserciti violenza contro chi è ritenuto diverso. Si  propongono leggi, si riuniscono cortei, si organizzano dibattiti su cosa sia giusto e su cosa sia sbagliato, si parla, si litiga, ma nel frattempo in ogni città avviene un’aggressione ai danni di uomini o donne che hanno un’idea, solo un’altra idea. Ci si mostra indignati e spaventati da quanto accade ma è necessario rendersi conto che per quanto sia un fenomeno più che sviluppato, è ancora puntualmente additato e giudicato storcendo la bocca. è giunta l’ora di rimboccarsi le maniche per assicurare un futuro a tutti gli uomini abbandonando ogni idea di discriminazione per chi costituisca una minoranza, perché i fatti avvenuti sono solo lo specchio di un intolleranza verso chiunque sia diverso. Diverso per il colore della pelle, diverso per le tradizioni e i costumi secondo i quali è cresciuto, diverso perché da solo un altro significato ai suoi sentimenti. È quindi indispensabile promuovere in Italia un processo di tolleranza ed integrazione, riuscendo così a capire che la diversità non è un motivo di divisione, ma altresì un motivi di crescita e un’occasione per confrontarsi.

Chiara Nugara V C

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